La crisi del nono anno altro non è che un passaggio da uno stato di coscienza a un altro; è un risveglio della coscienza, un passaggio dallo stato di coscienza sognante dei bambini del primo settennio a uno stato di coscienza più desto, che va sviluppandosi nell’arco del secondo settennio.
Rudolf Steiner ha coniato per questo importante e delicato momento di trasformazione il termine “passaggio del Rubicone”; evoca un’immagine presa dall’antica storia romana, le gesta di Giulio Cesare. Ora il bambino attraversa una soglia dalla quale non sarà più possibile tornare indietro, proprio come Cesare quando attraversò il Rubicone. Nella storia romana coincide con la fine dell’antica Repubblica, per il bambino è la cesura con “il mondo antico”, il mondo delle fiabe, un mondo dove tutto era intimamente connesso e di cui si sentiva parte, a cui si sentiva profondamente unito.
Per evidenziare le peculiarità e le caratteristiche di questo risveglio si possono ricordare le principali caratteristiche della coscienza e in generale della vita animica del bambino del primo settennio.
Nel primo settennio il bambino vive nelle percezioni, in quella che comunemente indichiamo come sfera volitiva, legata al movimento e alle esigenze primarie del corpo. Non vi è separazione alcuna fra la sua coscienza e l’ambiente che lo circonda, egli ha quindi una coscienza diffusa, crepuscolare.
Le sue forze di pensiero vivono in una dimensione di sonno e non sperimenta la propria interiorità come un qualcosa di separato dall’ambiente, perciò assorbe senza filtro quanto avviene nell’ambiente stesso. Sia da un punto di vista fisico, sia da un punto di vista animico il bambino metabolizza quanto gli accade intorno. Con il settimo anno la coscienza del bambino comincia già a trasformarsi, ma la coscienza del primo settennio irradia ancora, come un’eco che si esaurirà del tutto solo gradualmente. Con il nono anno i segni di questo graduale risveglio si mostrano in modo evidente.
Quali sono questi segni? In che modo il bambino ci informa che sta per attraversare la famosa crisi del nono anno?
Comincia progressivamente a distinguere una sua vita di sentimento individualizzata, non si sente più parte integrante del mondo che lo circonda ma comincia a separarsene e a sperimentarsi come un’individualità, almeno nella sfera del sentire. Comincia a prendere coscienza dei propri talenti e delle proprie carenze, delle proprie difficoltà, e comincia a riconoscere il carattere e il temperamento dei suoi compagni, nonché a giudicarlo. Di conseguenza inizia anche a criticare i comportamenti degli altri, compresi quelli dei genitori e talvolta – addirittura – quelli del maestro, che fino a quel momento è stato considerato, a scuola come a casa, una specie di oracolo.
Intorno ai nove anni il bambino comincia anche a scoprire le potenzialità del linguaggio. Il bambino dell’asilo sente una parolaccia e la ripete a pappagallo; il bambino di nove anni si accorge che la parola può anche essere un’arma e comincia a usarla per ferire.
È il momento in cui possono anche risorgere difficoltà da tempo superate, come la difficoltà ad addormentarsi da solo.
Non sperimentando più il mondo esterno e il mondo interiore come un’unità, inizia anche ad avere una percezione diversa del tempo, della vita e della morte come parte di essa.
Riguardo al tema della morte. Il bambino del primo settennio, come si è detto, vive in uno stato di coscienza diffuso. Uno stato di coscienza che potremmo paragonare a quello dell’umanità prima del peccato originale. Il bambino piccolo tratta la morte in modo naturale e molti possono ricordare un’esperienza in cui tale aspetto sia emerso chiaramente. Muore un parente e il bambino piccolo accoglie la notizia con serenità, per lui è ovvio che la morte sia solo un passaggio da una dimensione ad un’altra. La morte non è per lui una fine, ma un passaggio. Dopo il nono anno il bambino si trova in una condizione simile a quella dell’umanità dopo la cacciata dal paradiso terrestre. Il bambino si sveglia alla terra, il suo intelletto si desta, non vive più in una dimensione di coscienza diffusa, ma si risveglia in se stesso. Prima il suo essere intimo era ancora legato al mondo spirituale, all’Eden; prima viveva in Dio e Dio viveva in lui. Ma ora Dio lo sta cacciando e lui si sente spaesato.
Non si sente più un abitante del mondo spirituale, ma non si sente nemmeno ancora del tutto un abitante della terra. Tuttavia la terra lo chiama e lui, se pur con dolore, ed è qui che inizia la crisi, deve abbandonare il mondo spirituale per diventare un essere terrestre.
Gradualmente la morte cessa di essere vissuta con naturalezza perché il bambino non ha più alcun rapporto diretto con quanto avviene nel mondo spirituale dopo la morte. Quindi la morte diventa il termine della vita e, dopo di essa, non si sa che cosa ci sia.
Certo il bambino non porta a coscienza tutto questo, ma le domande che pone, spesso così brucianti, mettono in luce che nelle profondità del suo essere stia avvenendo questo formidabile cambiamento che prima ha caratterizzato l’umanità intera e da allora caratterizza lo sviluppo di ogni singolo individuo.
Il bambino può domandare alla mamma:
- Ma tu morirai?
- Ma io morirò?
- E quando morirai staremo sempre insieme?
Il bambino si sente quindi estromesso dal mondo spirituale e non ancora del tutto presente in quello fisico terrestre. Questa è la crisi del Rubiconde.
Non dobbiamo stupirci quindi se il bambino comincia ad avere dei comportamenti che non aveva mai manifestato prima; comportamenti che certe volte ci lasciano di stucco e ci inducono a chiederci: ma dove l’ha vista, dove l’ha sentita una cosa del genere? In questa fase, che dura più o meno fino al termine della quarta classe, dovremo stare molto attenti a come ci rivolgeremo al bambino.
Dobbiamo pensare che per lui, con il suo nuovo stato di coscienza, la terra sia un luogo nuovo ed estraneo, completamente da esplorare.
All’inizio è goffo e sperimenta tante cose e, sperimentando sbaglia. Quando sbaglia, quando dice una parola sbagliata o compie un brutto gesto, noi non dobbiamo sentirci feriti o offesi, oppure toccati nell’orgoglio di educatori. Dobbiamo invece pensare che lui stia tastando goffamente un terreno che non conosce.
Non dobbiamo mai reprimere violentemente questi tentativi. Dobbiamo sempre avere ben chiaro che lui sta facendo esperienza di un mondo estraneo. Certo non dobbiamo permettere che gli sbagli diventino atteggiamenti o abitudini, ma non dobbiamo nemmeno credere che sia sempre giusto stroncare sul nascere un impulso interiore solo perché a tutta prima si manifesta nel modo sbagliato.
Dobbiamo invece fermarci un momento a osservare, dobbiamo comprendere a partire da quale profonda esperienza interiore un brutto atteggiamento si stia manifestando e, sulla base delle osservazioni, decidere come intervenire.
Un atteggiamento repressivo, durante la crisi del nono anno, non conduce a nulla di buono.
Durante tale crisi il bambino non ci segue più in modo incondizionato, non ci segue più ciecamente. In realtà egli ha un profondo bisogno di vedere con i suoi occhi, di toccare con mano che noi siamo degni di essere seguiti.
Ha bisogno di molte rassicurazioni e, se non riconosce in noi degli esempi buoni da seguire, allora la sua insicurezza non verrà superata e lo accompagnerà per tutta la vita.
Questo è il rischio di un atteggiamento repressivo. Posso essere convinto di agire per il bene di mio figlio se lo sgrido molto severamente, tanto da stroncare sul nascere un brutto atteggiamento. Ma se quel brutto atteggiamento era solo una goffa manifestazione di una sua insicurezza, allora quell’insicurezza gli rimarrà addosso per tutta la vita. Magari da adulto non ne sarà cosciente, ma sullo sfondo della sua anima essa agirà e lo condizionerà, rendendolo meno libero.
Durante il nono anno dobbiamo dimostrare al bambino di essere degli educatori degni di essere seguiti.
Nel nostro piano di studi teniamo conto di tutto questo e, proprio quando il bambino smette di sentirsi un abitante del mondo spirituale, gli raccontiamo la cacciata dal paradiso terrestre. Egli sente in tal modo che noi sappiamo esattamente a che punto si trova, che sappiamo ascoltare le profonde domande che lo mettono in crisi e siamo pronti a dargli delle risposte.
Ma il bambino non si sente ancora nemmeno un abitante della terra e vive in un’interiore stato di caos; perciò gli raccontiamo la Genesi, nella quale Dio Padre, a partire da una condizione caotica, dà un ordine ad ogni cosa, ponendo il cielo in alto e la terra in basso, etc.
Egli ha bisogno di trovare delle guide in cui credere non più per fede cieca, ma perché le riconosce come degne di essere seguite, lo sente profondamente, perciò gli parliamo di Mosè, che consegna al suo popolo le tavole della legge e il popolo lo segue.
Ma il bambino di nove anni, oltre a trovare un ordine interiore, deve anche allacciare nuove relazioni con il mondo che lo circonda; perciò cominciamo a offrirgli i primi rudimenti di geografia, parlandogli dei luoghi di origine.
E gli parliamo anche dei mestieri, in modo che percepisca che ogni uomo ha il suo ruolo nel mondo e che ogni ruolo, pur nelle differenze, è degno e indispensabile. Mediante i mestieri, che sono abilità e intelligenza umana applicata alla vita, l’uomo prende possesso della terra.
Inoltre offriamo al bambino di quest’età anche i primi rudimenti della grammatica; la fase istintiva del linguaggio cessa di essere proficua per l’apprendimento, ora bisogna dare una solida ossatura a quanto si è appreso in passato in modo spontaneo.
Vediamo così che il nostro programma tiene veramente conto della natura più profonda del bambino e risponde nella pratica alle sue esigenze più profonde, in modo che ogni fase del suo sviluppo sia accompagnata e sostenuta da educatori consapevoli.
In prima, in seconda, a volte anche in terza, si osserva che i bambini si muovono ancora nella leggerezza, vivono nel ritmo, seguono melodie interiori, sentono armonia in se stessi e fuori. Letteralmente vivono in armonia, sperimentano ancora il mondo in modo immediato, non hanno ancora creato una barriera fra se stessi e il mondo. Le percezioni del mondo non vengono più assorbite direttamente e incondizionatamente come nel primo settennio, ma i bambini di sette/otto anni vivono ancora nelle percezioni, vivono ancora nella fantasia e accolgono volentieri quanto viene loro proposto. Vivono ancora nel mondo della fiaba e, mentre si narra, si riconosce come facciano risuonare interiormente il racconto, come s’immedesimino con semplicità. C’è ancora apertura d’animo, perché nell’inconscio vive ancora il pensiero che il mondo sia buono, sempre che non siano stati svegliati troppo presto.
Riconoscono l’autorità del maestro e del genitore che sa appellarsi alla loro immaginazione: quel mondo in cui le piante e gli animali parlano.
Intorno ai nove anni le cose cambiano: il bambino incomincia a manifestare una certa irrequietezza, qualsiasi sia il suo carattere diventa incline alla critica. Sta avvenendo un grande cambiamento nei suoi sentimenti.
Il bambino perde la sua leggerezza, discende nel mondo fisico, i passi si fanno pesanti, diventa molto acuto e sviluppa una forte sensibilità. A quell’età i bambini non vogliono più prenderti per mano, iniziano a risponderti male. Nasce il problema sociale, domandano ai genitori:
- Ma noi siamo ricchi o siamo poveri?
Oppure sentenziano:
- Guarda che so benissimo che non esistono i nani e le fate!
- Guarda che so benissimo che sono la mamma e il papà a portare i regali a Natale!
La conquista da raggiungere è che il bambino inizi a distinguersi dall’ esterno. Il bambino che non ha ancora iniziato questo passaggio, che è prima di tutto una metamorfosi della coscienza, si sente ancora unito all’ambiente che lo circonda, non sperimenta ancora il barlume di un’interiorità propria, di una vita di sentimento individualizzata. Il bambino piccolo non distingue un fuori da un dentro, dopo il IX anno questa separazione invece è netta. Ora si guarda il mondo con un rapporto molto più “realistico”, meno magico.
Più che soffrire consapevolmente per questa condizione, i bambini la sperimentano interiormente come un problema. Più che capire razionalmente, più che trovare una soluzione concettuale, devono trovare negli adulti una soluzione, un modello di equilibrio e di stabilità.
L’esperienza caratteristica che viene vissuta per la prima volta è l’essere soli al mondo.
Nell’anima si manifesta la prima esperienza di solitudine. Il bambino non è più capace di imitare ma non ha ancora imparato a collegarsi al mondo in altro modo. Si sente estraneo, straniero, vuole essere capito ma non ha la capacità di spiegare quello che prova, soffre intimamente, e siamo noi a dovergli andare incontro.
I suoi occhi hanno qualcosa di enigmatico, sono velati di malinconia. Ha molte domande inespresse, semplicemente perché non ha le capacità intellettuali di esprimerle. Ed è proprio questo senso di solitudine che sorge nella coscienza a far affiorare le grandi domande sull’esistenza. Affiora, per esempio, la paura della morte, e oltretutto è l’età in cui sovente capita che in classe vi siano bambini che perdono i nonni.
- Dove si va quando si muore?
- Mamma io non voglio che tu muoia!
Il bambino è insicuro e, se non si trasforma questo sentimento in sicurezza, in interiore saldezza, questa insicurezza gli rimarrà per tutta la vita.
Tutte le espressioni fredde, prive di anima, in special modo le tecnologie, hanno degli effetti particolarmente dannosi. In questo momento difficile, senza parlargli del momento difficile, bisogna fargli sentire la partecipazione, l’amore, il calore di cui ha bisogno.
Quando va a dormire vuole la luce accesa, vuole la porta aperta, inventa scongiuri:
- Se per andare a dormire salto da quella piastrella a quell’altra e da lì sul tappeto, allora non mi succederà niente.
Nell’invenzione di questi scongiuri, che sono come piccoli rituali magici, viene a espressione l’esigenza di regolare la vita secondo un ordine interiormente stabilito. Ciò si realizza nel darsi una disposizione interiore, una regola, una legge, una procedura, per poi seguirla esattamente.
Con il primo barlume di autocoscienza nasce così il germe dell’autodeterminazione, ma con ciò al tempo stesso si spezza l’equilibrio istintivo che permeava come una grazia il sonno della coscienza. In sintesi, tutto questo porta i bambini ad ammalarsi: mal di testa, stanchezza, mal di pancia, spossatezza, palpitazioni, vertigini. Con il risveglio progressivo dell’uomo nervoso, che terminerà nel terzo settennio, già a partire dai nove anni i bambini incominciano a sperimentare il lato oscuro del mondo.
Con la differenziazione fra io e mondo nasce la voce della coscienza.
Il bambino inizia a distinguere fra il bene e il male e bisogna iniziare a parlargli francamente, apertamente, anche delle proprie manchevolezze.
Questo porta a educare, a distinguere e ad ascoltare la voce della coscienza, ossia educare alla moralità. Nessuna età, se ci si pensa, è più indicata per educare alla moralità.
In generale dobbiamo dimostrare al bambino che può avere fiducia incondizionata in noi. Solo così facendo – e potrebbe essere sufficiente anche concentrare gli sforzi per un breve periodo – gli daremo delle sicurezze che lo aiuteranno per tutta la vita.
Non servono parole, solo fatti. Nulla di peggio per un bambino che ritrovarsi da solo quando un genitore aveva promesso di rimanere. I bambini di questa età hanno tutto il diritto di prendere le parole degli adulti al 100%. Quindi a ogni parola devono seguire i fatti in maniera del tutto coerente.
Il bambino ha bisogno di noi per trovare la forza di superare la paura legata alla perdita del paradiso. Il bambino di questa età ha tutto il diritto di chiedere agli adulti dimostrazioni della loro bontà. In sostanza, iI Rubicone viene oltrepassato se non viene perduta la fiducia nell’uomo buono.
In questa condizione il bambino inizia a porsi grandi interrogativi sul mondo, perché se ne sente estraneo. Con la contrapposizione fra IO e MONDO crescono in lui caos, solitudine, paura.
Cosa possiamo fare? Possiamo riordinare il mondo!
Dare ordine al mondo mediante il lavoro e la conoscenza e, con questo, riordinare anche l’interiorità.
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Approfondimento: “Il nono anno di vita. Sentimento del proprio Io e solitudine, distacco dal mondo e paura”
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